Navigare a vista

Stiamo aspettando qualcosa ma non sappiamo di cosa si tratti. Siamo come naufraghi alla deriva in attesa di una nave. È come se da un momento all’altro dovesse arrivare una svolta. Qualcosa di bene o qualcosa di male. Una catastrofe dettata dalla natura, una guerra dal volto nuovo, un’epidemia. Oppure una nuova scoperta capace di salvarci tutti. Se c’è una condizione che questi anni di interminabili e insolubili incertezze ci hanno lasciato dentro è senza dubbio la paura di osare. Hanno offuscato il futuro e riempito il presente di dubbi. Da tanto, troppo tempo, ci stiamo accontentando di scenari immobili, di una dilagante apatia, di uno stagnante pessimismo. Da tanto, troppo tempo, stiamo tentando di sopravvivere invece che vivere. Del nostro benessere non sappiamo che farcene, se non usarlo come carburante per alimentare nuovi inutili bisogni indotti. Abbiamo ridotto la libertà conquistata a caro prezzo da chi ci ha preceduto in un valore scontato, e forse per questo giochiamo a far risuonare le catene dell’oppressione. Ci piace l’ignoranza perché è facile e comoda, ma soprattutto perché conoscere significa mettersi continuamente in discussione, significa mettere in conto la possibilità dell’errore, significa lasciarsi alle spalle il nostro fortino di presunzione per guardare la realtà da un punto di vista che non sia quello del nostro ego. Significa spalancare le porte al cambiamento e al progresso. Resteremo impantanati a riva finché non decideremo di spiegare le vele e solcare le onde del mare aperto, anche se quell’orizzonte ignoto ci incute timore. Perché progredire è il solo modo che abbiamo per metterci in salvo, per non lasciar estinguere l’ultimo guizzo di umanità che ci portiamo dentro. Dobbiamo avere il coraggio di assumerci il rischio di affondare ma anche quello di trovare senso al viaggio. Possiamo continuare a navigare a vista come stiamo facendo oppure allontanarci dal porto. In ogni caso, il tempo prima o poi ci presenterà il conto. Esitazione o intraprendenza, la scelta è comunque nostra, le conseguenze pure.

Lucia Bardeggia